mercoledì 14 agosto 2013

La seconda parte del racconto di “Velletri Eroica” che avrebbe dovuto uscire sul settimanale “Milleluci”, subito dopo le elezioni, ma per motivi sconosciuti (molto probabilmente economici) il numero non uscì. Ho provveduto io a rimediare per i miei più affezionati lettori, che ringrazio vivamente di cuore.
                                                                                Guido Di Vito
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       Terminata la tempesta dei bombardamenti

Finita la tempesta delle bocche di fuoco dei cannoni delle navi ad Anzio ed i raid aerei dei “Liberatori”, Velletri si presentava in un ammasso di macerie. Attraverso i documenti del momento (e non solo) si descriveranno i danni causati dalla guerra e dai terribili combattimenti svoltisi nel vasto territorio. Dalle parole dell’ing. Andrea Angeloro del Genio Civile di Roma, venuto a Velletri con una agguerrita e valente schiera di tecnici, parole stampate su le pagine di una sua conferenza, si trovò di fronte ad un disastro senza limiti, mai visto, davanti ad una visione terribile, apocalittica, raccapricciante. Operò subito con coraggio e competenza, con abnegazione ed entusiasmo. Prese veramente a cuore le sorti della disgraziata e martoriata Velletri. Scorrendo le pagine della sua conferenza (scrive Renato Guidi) nella sua “Velletri Eroica”; apprendiamo commossi, ancora oggi come si presentò, al suo occhio esperto di tecnico, la città di Velletri, subito dopo il passar della guerra.
Foto simbolo dei bombardamenti subiti dalla città: La fontana del Reinaldi centrata in pieno da una bomba d'aereo
Queste sono le impressioni che contano, le più veritiere, perché le prime, davanti ad uno spettacolo di macerie, ad un popolo ancora in gramaglie, avvilito dalla sventura e dalla miseria, la più nera. A distanza di anni, ci si stenta a credere e può considerarsi diversamente tanto sacrificio.
Questi però sono i documenti seri, sinceri che vanno esaminati e ricordati. Egli ad un punto della sua relazione dice: <<Chi, come me, venne a Velletri alla fine del giugno 1944, rimase con un nodo alla gola e con gli occhi umidi e arrossati. Abbiamo dovuto dare forza a noi stessi per non rimanere ossessionati ed inerti dinanzi a simile visione.
Noi, funzionari del Genio Civile di Roma, avevamo già conosciuto gli orrori ed il tragico lavoro di sgombero e riparazioni nei quartieri Tiburtino, Prenestino e Ostiense, ma non conoscevamo ancora le Città completamente annientate, rase al suolo, come Velletri.
Il panorama delle rovine che noi invece abbiamo visto, ci ha inorriditi, allucinati, spaventati. E non solo i nostri sensi sono stati colpiti, ma il nostro animo ne è stato sconvolto, il nostro cuore si è ristretto con un senso di angoscia che, purtroppo, perdura ancora.
Noi tutti (o quasi) abbiamo ben conosciuto il tragico panorama delle strade sconvolte, dei monti grandi e piccoli di macerie grigie, gialle, bianche e rosa: ma questi tenui colori non si distinguevano perché una sola tonalità grigio gialla colpiva ed abbagliava i nostri occhi.
Nessuna vegetazione o qualche scheletro di albero: la vita era cessata. Muri diroccati, facciate lesionate con niente dentro, file di finestre vuote che sembrano tante orbite cave di teschi. Si entrava in edifici che noi ancora ricordavamo in piedi, in palazzi, chiese, teatri, e vedevamo l’immensità del cielo (unica consolante nota di colore) imponente su di noi, fra il silenzio assoluto delle cose e degli altri uomini attoniti come noi. Paesaggio da incubo, da ossessione, senza rilievi, piatto ed allucinante. Questo era il panorama delle macerie che ognuno di noi ricorda con intensa commozione e raccapriccio.
Questa era Velletri da Ponte Rosso a Ponte Bianco, a sinistra villini diroccati a destra la strada franata, per terra nastri di mitragliatrice, bombe a mano e granate, cannoni e carri armati.
A Piazza Garibaldi, l’Ospedale, uno dei più attrezzati e grandi della Provincia, completamente distrutto;nei letti, sepolto tra le macerie ancora qualche cadavere.
Via Menotti Garibaldi, i vicoli vicini, la Costa di Fagiolo ecc., nono esistevano più. A metà del Corso Vitt. Emanuele, il transito era interrotto per gli enormi cumuli di macerie fino a Piazza Cairoli, dove pochi metri quadrati di suolo erano liberi per il passaggio pedonale. Tutti i palazzi di Piazza Cairoli erano crollati e decine di vittime ancora giacevano sotto il rifugio di Palazzo Boffi.
La bella scala del Palazzo Ginnetti e la Galleria erano completamente distrutti insieme al gran parte del Palazzo.
La Fontana del Trivio, ridotta a massi informi e sparpagliati. La Torre del Trivio, bella e potente costruzione romanica, illesa nella sua struttura, ma sforacchiata e smozzicata dai priettili, mostrava tutte le sue ferite sofferte. A destra, verso San Salvatore, il deserto con dune di macerie alte quattro cinque metri e qualche scheletro di fabbricato sovrastante le macerie: cadaveri ancora sepolti sotto queste.
A terra i fabbricati di Viale Margherita, Via Novelli, Vicolo Moscatelli. Visione apocalittica di Piazza S. Martino dall’alto del Palazzo Comunale distrutto, un burrone scosceso di calcinacci e massi fino a Corso Vittorio Emanuele, dove la Caserma dei Carabinieri, Palazzo Romani, la Canonica di S. Martino, anche esse in gran parte distrutte, sembrava che contenessero le macerie che scendevano da Piazza del Comune. I quartiri intorno a Piazza Mazzini, da via Furio a S. Francesco, da Via Borgia, da Via Portella a Via Metabo e Piazza XX Settembre, cumuli di macerie e rovine
Le canoniche di S. Clemente, la sagrestia della Cattedrale, parte dell’Episcopo e del Seminario distrutte.La bella Cattedrale gravemente danneggiata nelle sue più importanti strutture.
Nella parte alta di Velletri, le zone fra Castello e Piazza del Gesù, fra Via Andrea Velletrano e Via Paolina, le Carceri, le Scuole e la Chiesa di San Lorenzo, distrutte e silenziose, il bel complesso rinascimentale di Piazza del Comune, col maestoso Palazzo Comunale, insigne opera di valenti architetti del ‘500 e ‘600, il Palazzo dei Conservatori, sede del Tribunale, era tutto diroccato e pericolante, irto di travi e massi vacillanti: accanto il Tempietto bramantesco di Alessandro da Parma e la Chiesa di San Michele Arcangelo in gran parte rovinati.
Non un tetto era in piedi a Velletri: quelle poche tegole rimaste erano meta di continui furti e devastazione di materiali delle case diroccate. I ladri passavano da un fabbricato all’altro. Poche le finestre rimaste: nessun vetro sano e, fino al 1947 anche le case riparate ne erano prive con cartoni e legni per ripararsi dalle intemperie.
Sconvolte le strade cittadine e di campagna, dissestato l’impianto idrico; distrutte o asportate tutte le tubazioni private.
L’illuminazione cittadina prima completamente assente poi intermittente e scarsissima. Dovunque era silenzio e deserto, un po’ di movimento nelle prime ore del mattino, ma la vita cessava alle tarde ore del pomeriggio e un pauroso senso di solitudine e di morte incombeva verso la sera; poi le tenebre regnavano sovrane.
Così abbiamo vissuto a Velletri subito dopo il giugno 1944, e fino quasi al 1946>>.
Dalla relazione Angeloro apprendiamo inoltre che circa 2 miliardi furono spesi dallo Stato per far ripulsare il cuore di una Città di circa 35mila abitanti.
La stampa italiana ed estera si occupò varie volte di Velletri e della sua ricostruzione. Riporto qualche nota:
“L’Italia Libera” 20 giugno 1944 <<L’espressione rasa al suolo può essere applicata senza riserva a Velletri. Assistiamo in questi giorni al ripopolamento di quelle zone. I contadini già dal primo giorno della Liberazione, ansiosi sono andati con passo cauto ciascuno alla propria vigna, al proprio orto ancora insediati dalle mine e dai proiettili inesplosi, calcolando mentalmente i danni subiti e quello che ancora da quelle terre valorizzate da tanti sacrifici e da tanto sudore potevano ritrarre entro la stagione in corso>>. IL “Risorgimento Liberale” 20-6-1944, parlando dello sbarco di Nettuno e della guerriglia scrive che la Roma-Velletri venne messa fuori uso per più di 5 giorni. In quei giorni si ebbero veri e propri combattimenti ad Albano e scontri sanguinosi nelle campagne di Velletri nei quali tedeschi e partigiani lasciarono molte vittime sul terreno
Il <<Corriere di Roma>> 31-07-1944 <<A Velletri abbiamo visto degli uomini aggirarsi tra le macerie, esseri umani con il loro sgomento davano vita ai luoghi>>.
Il <<Risorgimento Liberale>> 12-06-1944 <<Da Roma a Napoli non si incontrano che uomini poveri, uomini poveri soltanto e non un animale che divida le loro disgrazie; tutti gli animali sono scomparsi, mucche e buoi, maiali e galline razziati dai tedeschi, cani e gatti, dagli uomini diventati poveri>>.
<<Il Reporter>> 16-10-1944 <<La guerra è passata per i Castelli Romani con tutte le sue sciagure: su Velletri, per esempio si è abbattuto l’orrore dei bombardamenti aerei, in Velletri si è svolta la guerriglia e la rappresaglia contro la guerriglia. Le sue case sono state ridotte in macerie dalle bombe che venivano dal cielo e dai proiettili dei cannoni delle navi>>.
Le sue vie un dì così nobili strade della Toscana medioevale, hanno visto la strage della rappresaglia teutonica;sono state teatro della guerriglia e della guerra combattuta. Questa singolare Città, provata comme poche altre, deve essere ricostruita>>.
<<Il Corriere d Roma>> 19-07- 1944 “A Velletri la scala rinascimentale di Palazzo Ginnetti non esiste più, la sua polvere si è confusa con quelle di tutto il paese”.
<<L’Unità>> 6-6-1944: “Roma è libera. Roma esulta e finalmente respira, sollevata dall’angoscia di un lungo intollerabile incubo. Torna sulle bocche di tutti i nomi consacrati dalle tappe eroiche della vittoriosa offensiva i nomi della nostra Patria nomi di fama come Montecassino o Velletri dove il sangue dei nostri fratelli dei nostri alleati ha schiuso il vasco alla agognata libertà.
<<Cosmopolita>> 2-12-1944 “A Velletri, distrutta quanto Pompei, i profughi rientrano a piccoli gruppi, vanno dalle macerie alle loro case, con pochi assi improvvisano tra i muri pericolanti un tetto di un paio di metri e da lì cominciano a seminare nuove piccole industrie. Sono smunti, pallidi, affamati, ma vivono, persino sorridono>>.
La vita dei profughi a Roma, non fu certo lieta anzi, piena di sofferenze ed umiliazione. Riportiamo alcune note di un giornalista che aveva effetuto una visita nella Caserma di Santa Croce in data 11-11-1944. Scriva: “E’ con le lagrime agli occhi che una vecchietta mi racconta il suo caso. Sono mesi che siamo qui. A Velletri ci hanno distrutto la casa. Io e mio marito ci siamo ammalati, io con le febbri malariche e lui con la bronchite. Dovremmo bere del latte, ce lo ha detto il dottore, ma ce ne danno un quarto solo al giorno in due persone. Non abbiamo neppure una coperta per coprirci, alle finestre mancano i vetri, e mostra le due brande nude”.
<<Il Giornale del Mattino >>– ottobre 1944. “Il disastro che ha colpito Velletri è immane. Questa popolosa e laboriosa cittadina, centro di studi e ricca di storia e d’arte ha subito la violenza delle operazioni belliche che l’hanno dilaniata così, nel cuore come in tutto il sistema organico che le dava vita, una vita prosperosa e benessere, che l’aveva consentito di emergere anche grazie al suo bell’aspetto edilizio ed il suo grado culturale e la cordialità della sua popolazione, tra le più progredite del Lazio. Case e Palazzi, Monumenti e Chiese, il turbine scatenato della guerra ha travolto e schiantato e distrutto , lasciando la piaga tremenda del suo passaggio là, dove poco prima un popolo laboriosa si raccoglieva sereno nella sua parte maggiore intento a migliorare le condizioni delle sue ubertose  campagne. Per sua mano sempre più si facevano rigogliosa mentre giovani studiosi, commercianti saggi e professionisti valenti, tenutesi al corrente dei movimenti culturali, industriali e forensi dei centri maggiori, offrivano la testimonianza tangibile dei progressi conseguiti dalla loro città in campo nazionale. Chi arriva ora a Velletri trova una città distrutta, simile ad una Pompei dopo l’eruzione del Vesuvio”.
Renato Guidi aggiunge: “Nel chiudere queste note rievocative una parola di ringraziamento al Ministro Andreotti per essersi ricordato di Velletri; del valore e del sacrificio dei suoi abitanti. Ma da lui attendiamo una nuova prova del suo interessamento, ed un atto di giustizia: la medaglia d’argento deve dare il posto a quella d’oro che Velletri, questo atto di valore civile  militare, ha ben meritato. Velletri era l’ultimo baluardo della difesa di Roma e Roma non può dimenticare tale sublime offerta, tale smisurato olocausto di vite e di averi. A questo punto non possiamo tralasciare l’opera assistenziale di alcuni sacerdoti rimasti ininterrottamente sul posto del loro dovere. Tutti i giorni, sprezzando i continui pericoli, hanno affrontato le più dure privazioni per portare il loro aiuto materiale ed il conforto della Fede alle polo azione che si era rifugiata in montagna o sparsa nelle grotte della campagna, aiutata dai nostri generosi contadini. Fu proprio il loro aiuto ed i consigli di questi eroici sacerdoti che cominciò a pulsare la vita nella martoriata Città di Velletri”.
L’ammontare complessiva dei danni strutturali ammontava a superare i cinque miliardi di lire. Secondo la stima della Commissione Guidata dell’ing. Andrea Angeloro del Genio Civile di Roma. Allora era una somma impensabile che avrebbe dovuto dare l’idea dell’immenso danno subito dalla nostra città. Ora soltanto, leggendo questo racconto vissuto come un tragico destino da Renato Guidi e Padre Laracca, ma non solo essi.

A Velletri il 22 gennaio 1944 era passata l'Apocalisse

Uno sguardo indietro a quello che accadde 69 anni fa
A Velletri il 22 gennaio 1944 era passata l’Apocalisse!

L'ex Convento San Francesco, all'epoca Caserma Garibaldi
E’ quello che sono riuscito a fare grazie ad un lavoro giornalistico di uno dei più noti e apprezzati giornalisti - pubblicisti di Velletri, Renato Guidi che, con la collaborazione di Padre Italo Laracca, scrisse la reale storia di quello che accadde il 22  gennaio 1944 a Velletri ed ai suoi abitanti. Due uomini, due letterati, due padri di Velletri che hanno vissuto in prima linea le sorti della nostra città, durante i devastanti bombardamenti che hanno distrutto per 87% la più bella e antica città del Lazio, terra natia del grande Ottaviano Cesare Augusto. Questo mese, Gennaio 2013, ricorre il 69 anno dallo sbarco di Anzio. Come ogni anno ho sempre riportato il triste evento che fra l’altro ho vissuto in prima persona con tutta la mia famiglia. Ma questo racconto qui sotto riportato, è il più fedele e sconvolgente che abbia letto in tutti questi anni. Ma non ho voluto farlo mio. Semplicemente l’ho riportato quasi interamente perché credo che pochi siano i miei concittadini ad averlo letto o semplicemente guardato. Solo questo mi ha spinto a copiarlo nella sua parte più terribile, di sicuro non conosciuto dalla ultime generazioni. E’ lungo, ma vi prego leggetelo tutto, così capirete a fondo il disumano sacrificio dei nostri padri e del vissuto dolore per i nostri morti.
VELLETRI
Eroica
“Velletri eroica” è un libricino di 32 pagine uscito il 21 maggio 1961,stampato e fatto uscire  in occasione delle consegna della medaglia d’argento al Valor Civile alle città (pensate: una medaglia d’argento in riconoscimento di una città più antica di Roma, ricca di storia e di palazzi nobiliari, rasa al suolo dagli “alleati” in più bombardamenti aerei, le fortezze volanti chiamate per ironia della sorte <<Liberator>>,  provocando la morte di oltre 1000 cittadini).
Era il 16 gennaio 1961, quando con proprio decreto il Presidente della Repubblica (Giovanni Gronchi ndr), su proposta del Ministero dell’Interno, in seguito al parere della Commissione prevista dall’art.7 della Legge 2 Gennaio 1958, n.13, ha conferito la medaglia d’argento al Valor Civile al Comune di Velletri, con la seguente:

MOTIVAZIONE
“Duramente provata da numerosi bombardamenti, con impavida tenacia e abnegazione sopportava eroicamente con tutta la sua popolazione sofferenze indicibili mantenendo intatta la fede negli ideali di libertà e di pace,,.

Eroismo e sacrificio
Cosi sono state titolate le 32 pagine, correlate da foto drammatiche che ritraggono Velletri macerata e sofferente.  La pubblicazione (in formato tabloid con copertina rigida) edita a cura del Comitato Cittadino, mentre le note rievocative e le foto sono del  giornalista Renato Guidi e del sacerdote Somasco Padre Italo Laracca.
Io, che sono un figlio della guerra, ogni anno ho dedicato largo spazio per rievocare questa tragedia, la più devastante della sua millenaria storia. Man mano che gli anni passavano il mio archivio si arricchiva di storie e d’immagini inedite. Mi resi, così, conto dei lutti e delle tragedie che hanno colpito i miei concittadini, la mia famiglia e gli amici, in città come in campagna. Ho capito delle immani sofferenze delle famiglie, ho capito che non ve n’era una che non avesse avuto un lutto tragico in casa. Ho capito anche  e perché la Città abbia perso migliaia di figli e centinaia di palazzi, storici, pubblici e privati. Tante storie, tante tragedie. 
Il Gran Bar, all'angolo tra il Corso e piazza Cairoli
Velletri fu battezzata dal fuoco delle mitragliatrici dei caccia americani decollati dalle portaerei al largo di Anzio. Era l’8 settembre 1943 e gli “alleati”, forse per colpire la Caserma Garibaldi  (l’ex convento di S. Francesco) che dopo averlo distrutto, bombardarono i dintorni, letteralmente disintegrando gli immobili di via Metabo, piazza XX Settembre (allora Galeazzo Ciano) e piazza Umberto I (oggi piazza Caduti sul Lavoro). Praticamente tutta la parte sud della città, compreso la Cattedrale, le vie  Furio, Caravà, Portella, S.Pietro,  Piazza Mazzini e Porta Napoletana. Questo era appena un acconto per di più fatto il giorno che a Cassibile in Sicilia Il nostro Generale Castellano con gli Anglo Americani, rappresentati da Ike Eisenhower (Comandante supremo delle forze alleate ndr) in persona, firmavano l’Armistizio. (In realtà fu una resa senza condizioni, ma questo si seppe dopo molti giorni ndr). Il preludio alla catastrofe finale, lo si ebbe la mattina del 7 gennaio 1944, quando caccia americani decollati dalle portaerei delle flotte da sbarco, mitragliarono a bassa quota la stazione dei treni, proseguendo il mitragliamento lungo la via Appia sino all’altezza del ponte. Poi gli aerei si diressero lungo viale Oberdan. Molti i cittadini, uomini donne e bambini, furono falciati dalle mitragliatrice degli aerei. Il 9 di gennaio, 2 giorni dopo, gli aerei spezzonavano di nuovo la parte sud, il 15 di gennaio mitragliarono ancora una volta la stazione e dintorni, il 20 una sventagliata di mitragliamenti aerei, il 21 di nuovo la stazione e viale Oberdan (Porta Napoletana costruita nel 1511, ne ha portato i segni sino al 1990, giorno della  inaugurazione dopo il restauro dello studio di architettura De Rossi – Di Vito. Un restauro interamente sovvenzionato dalla allora Banca Pio X. Forse i piloti avevano avuto ordine di non danneggiare le opere antiche, perché non si spiega come siano  rimaste in piedi Porta Napoletana e la Torre del Trivio, dopo tutto quel finimondo che è avvenuto il giorno dopo. Infatti il 22 gennaio 1944 il cielo venne oscurato da centinaia di B52, le fortezze volanti, che a ondate vomitarono migliaia di  bombe da 400 kg dal ventre degli aerei. Alle ore 9,20 lo spettacolo ebbe inizio (scusate l’ironia): Porta Romana, l’Ospedale, Piazza Garibaldi, via Paolina, S. Salvatore, Via Camillo Meda e Via Cannetoli furono ridotte a macerie. Alle ore 13,40, un’altra ondata distrusse la zona tra Piazza Cairoli e S. Salvatore. Alle ore  14,50 i B52 distrussero completamente Piazza Cairoli compreso Palazzo Boffi  dove, nelle sue cantine si erano rifugiati varie famiglie, circa 300 persone tra donne uomini e bambini (furono ritrovati dai Vigili del Fuoco nei primi anni ’50). Il 23 gennaio il lugubre ululato delle sirene annunciava l’arrivo degli “alleati” (evidentemente non nostri) alle ore 10 veniva bombardato il centro cittadino, 2 ore dopo la zona che va da piazza del Comune e S.Salvatore, quest’ultimo sarà il quartiere più distrutto di Velletri (orrore e commozione alla notizia della tragica morte delle donne del rione, madri di famiglia anche con i loro piccoli, che si rifugiarono nella bottega del macellaio Gratta), una bomba fece crollare il palazzo dove la bottega era ubicata, morirono tutti. Il 25 alle ore 8,45 e alle ore 10 mitragliamento a Piazza XX Settembre. Il 30 alle ore 8,45 e alle ore 15,30, ancora mitragliata la ferrovia. I bombardamenti ed i mitragliamenti si susseguono , soprattutto nelle campagne,per tutti i giorni di febbraio, marzo, aprile e maggio. Infatti cessarono perché gli alleati angloamericani, raggiungono i sobborghi di Velletri (la Colonnella).
Corso Vittorio Emanuele, il tratto che va da piazza Cairoli a piazza Garibaldi
Quello che ho raccontato sin qui è nulla se non si entra nei dettagli (le vittime civili furono circa 600 ma l’elenco pubblicato non è completo. Le vittime di quelle dure giornate è di gran lunga superiore. E’ stato ricavato, da alcuni appunti di Padre Laracca e dalle denunce presentate al Comune. Molte famiglie, allora residenti, si sono trasferite  altrove e non hanno dato più notizie. Una storia fra le più tristi è accaduta alla famiglia dell’avv. Gallinelli  Ferdinando che con la sua signora Giovanna Gasbarri, con i loro 9 figli, sono rimasti seppelliti nel ricovero del palazzo Boffi. Erano amici di famiglia, abitavamo nello stesso pianerottolo nel palazzo di Vico Bellonzi e l’avv. Ferdinando Gallinelli ci richiamava più volte per andare al rifugio con lui. Papà, in quel momento non c’era e mia madre non si muoveva se non c’era lui. Quando arrivò ci disse di seguirlo nella grotta del suo laboratorio, grotta che sottostante confinava con le cantine del rifugio Boffi. Appena terminato il bombardamento, Papà, mamma io (avevo appena 5 anni) e mia sorella Maria Teresa che ne aveva 3, uscimmo indenni dalla grotta malgrado sentimmo il fragore delle bombe e del grande Palazzo che crollò su se stesso. Immenso fu il dolore dei miei, quando seppero che la famiglia Gallinelli era rimasta seppellita nelle macerie. Anch’io mi addolorai quando mi resi conto che non avrei più rivisto e giocato con tutti quei bambini, miei vicini di casa. Quel ricordo di quella famiglia, ci accompagnò per tanti anni ancora. Il palazzo in cui abitavamo è rimasto in piedi e, ritornando a casa, i miei non potevano fare a meno, guardando il portone dell’appartamento, intatto, come del resto il suo interno. Mia madre Fernanda scoppiò a piangere. Ma ora vi spiegherò come Velletri ebbe la medaglia d’argento.